Venezia - Piazza San Marco
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Olio su tela, National Gallery, Londra
Autore
Guardi Francesco (1712-1793)
Francesco Lazzaro Guardi (Venezia, 5 ottobre 1712 – Venezia, 1º gennaio 1793) è stato un pittore italiano.
L'artista, al contrario del Canaletto, non mira, nelle sue pitture, a risultati di nitida percezione, ma propone un'interpretazione del dato reale soggettiva ed evocativa, realizzando immagini di città evanescenti e irreali; raggiungendo a volte una sensibilità definibile pre-romantica, grazie allo sfaldamento delle forme e a malinconiche penombre.
Francesco Lazzaro Guardi, figlio del pittore Domenico Guardi (1678 - 1716) e di Maria Claudia Pichler, viene battezzato il 5 ottobre 1712 nella chiesa veneziana di Santa Maria Formosa; entrambi i genitori appartengono alla piccola nobiltà trentina di Mastellina in Val di Sole. Il padre muore il 16 ottobre 1716 lasciando la vedova e i figli Gianantonio, Maria Cecilia, Francesco e Nicolò: il primogenito Gianantonio eredita la bottega paterna; la secondogenita Maria Cecilia sposa il 21 novembre 1719 il grande pittore Giovanni Battista Tiepolo.
Francesco Guardi muore il primo gennaio 1793 nella sua casa veneziana di Cannaregio, in campo delle Madonne delle Grazie, dopo un mese di continuo decubito al letto per vomito polmonare, con febbre continua e gonfiore agli arti inferiori e ventre. Giacomo Guardi continua, imitandola, l'attività paterna: nel 1829 venderà tutta la collezione dei disegni suoi e del padre a Teodoro Correr, il fondatore del noto museo veneziano.
"Comincia a dipingere vedute verso il 1750, quando il Canaletto è a Londra: prima capricci alla Marco Ricci, poi riprese dirette di Venezia, ora aperte in orizzonti larghissimi, ora centrate su un sito pittoresco, un andito, un arco, un ponte, una vecchia casa in laguna. Le anima volentieri con folla di macchiette piene di agitazione…gli piace localizzare una situazione emotiva e poi, di colpo, estenderla a tutto lo spazio del quadro. È qui che può mettere in gioco la sua tecnica agilissima; ed è questo il lato più tiepolesco della sua pittura. Da una nota di colore fa scaturire tutta una gamma di toni fitti e salienti che si concludono in una luminosità dilagante, spesso attenuata in delicatissime tonalità di madreperla e tutta percorsa da vibrazioni e da fremiti…Il Guardi non si allontanerà mai dalla sua città. Le emozioni che gli dà un gioco di luce su un vecchio muro o un riflesso del cielo nell’acqua non sono emozioni puramente visive: scendono dirette a ridestare un ricordo e con esso il sentimento del vissuto. Perciò ama i muri cadenti, pieni di rampicanti e di muffe; potrebbe dirsi un pittore di rovine moderne. Il suo, dunque, non è più il paesaggio come veduta esatta, ma il paesaggio come esperienza individuale legata, non meno che al luogo, al tempo e allo stato d’animo. È il preludio al paesaggio romantico" (Argan).
"Sono capricciose persino le sue vedute dei luoghi presi dal vero nelle quali egli, ove può, inserisce elementi estemporanei di fantasia: sicché le sue vedute stesse assumono spesso, per il variare dei colori e il gioco dell'atmosfera, per quei silenzi così misteriosi, un sapore di morbido ed estenuante mistero. Quanto infine ai paesaggi di fantasia e ai capricci, essi ci trasportano di quando in quando sino al limite di un mondo in cui la realtà si trasfigura nel sogno; cioè, per usare un termine moderno, alle soglie del surrealismo. Visioni di incantesimo affiorano talvolta dalla laguna come spettri grondanti malinconia senza fine: sono gli esempi del contrapposto serioso ai capricci nati da un animo scherzevole e felice che assumono in codesto controcanto l'aria presaga di una fragilità delle cose, irremovibile, fatale" (Morassi).
Eduard Huttinger, riprendendo queste ultime considerazioni, le esaspera attribuendo al Guardi sentimenti tardo - romantici del tutto estranei al pittore: "...in Francesco Guardi...Venezia divenne città magica e subì una trasfigurazione suggestiva: poesia contrapposta alla cronaca. Guardi riproduce ciò che è in movimento, la gioia dell'attimo fuggevole: moltitudini di persone che, come larve trasportate dall'istinto e dalla passione, si riversano vacillanti lungo i canali, nelle calli, nei campi e sulle piazze inondati della fluttuante atmosfera che li avvolge. La struttura specifica della sua immaginazione ha reso Guardi capace di svelare una dimensione della città che solo raramente è presente in Canaletto e anche in Bellotto: la Venezia discosta, fuori mano, la "Venezia minore". Qui, come pure nei Capricci (la parola deriva dalla terminologia vasariana; Cesare Ripa ne formulò la definizione nel 1593: "... si dicono capricci le idee che si manifestano lontane dal modo ordinario"), Guardi lascia trasparire un sentimento che solo in lui è documentato con tale seduzione: la decadenza di Venezia. I suoi "Capricci" visualizzano qualcosa che va al di là di un pittoresco e stupefacente "theatrum mortis" spensierato. Non alternano facoltativamente architetture fantastiche a scenografie: sono "capricci lagunari". Compendiano il carattere vetusto di Venezia, la malinconia della caducità, del marcio e del fatiscente, il senso della corrosione, il morso del tempo e delle intemperie, il lutto e la solitudine, il silenzio morto e il vuoto della laguna, fino a reificare questo complesso di sensazioni in visioni oniriche appagate, ma vibranti di pulsazioni demoniache".
"Nel corso di una vecchiaia sapiente e visionaria l'artista, attraverso il sentimento del luogo e del tempo, coglie una Venezia appartata e solitaria, dove mare e cielo tendono a unirsi come condizione spirituale: liberatosi dai fenomeni per cogliere soltanto l'essenza, la sua relazione con la città diviene più intellettiva che sensibile. Egli interpreta la luce di Venezia come luce spaziale. cosicché senza luce non esistono né forme né colori.
Tuttavia il Guardi non può essere considerato anticipatore degli impressionisti: l'impressionismo, prima di essere un mezzo di espressione, è un modo di vedere e di percepire; e il modo di vedere di Francesco si qualifica come naturale, non scientifico: l'oggetto non è reso obiettivamente, ma filtrato dallo spirito che misteriosamente indaga sulla linea dell'orizzonte, quasi come in una impercettibile fusione tra visione dell'occhio e visione sognante della fantasia, in un ritmo contemplativo assai vicino al sentire musicale manifesto nei concerti del contemporaneo Vivaldi...Ne deriva una pittura impalpabile, aerea, fatta di luce avvolgente, sorretta da una tavolozza di inafferrabile e preziosa gamma cromatica. Il paesaggio non esiste più come tema, è pretesto per la ricerca pura di ritmi luminosi, di trasparenze, di pulviscoli argentei cilestrini..." (Rossi Bortolatto). (Wikipedia)
Francesco Lazzaro Guardi (Venezia, 5 ottobre 1712 – Venezia, 1º gennaio 1793) è stato un pittore italiano.
L'artista, al contrario del Canaletto, non mira, nelle sue pitture, a risultati di nitida percezione, ma propone un'interpretazione del dato reale soggettiva ed evocativa, realizzando immagini di città evanescenti e irreali; raggiungendo a volte una sensibilità definibile pre-romantica, grazie allo sfaldamento delle forme e a malinconiche penombre.
Francesco Lazzaro Guardi, figlio del pittore Domenico Guardi (1678 - 1716) e di Maria Claudia Pichler, viene battezzato il 5 ottobre 1712 nella chiesa veneziana di Santa Maria Formosa; entrambi i genitori appartengono alla piccola nobiltà trentina di Mastellina in Val di Sole. Il padre muore il 16 ottobre 1716 lasciando la vedova e i figli Gianantonio, Maria Cecilia, Francesco e Nicolò: il primogenito Gianantonio eredita la bottega paterna; la secondogenita Maria Cecilia sposa il 21 novembre 1719 il grande pittore Giovanni Battista Tiepolo.
Francesco Guardi muore il primo gennaio 1793 nella sua casa veneziana di Cannaregio, in campo delle Madonne delle Grazie, dopo un mese di continuo decubito al letto per vomito polmonare, con febbre continua e gonfiore agli arti inferiori e ventre. Giacomo Guardi continua, imitandola, l'attività paterna: nel 1829 venderà tutta la collezione dei disegni suoi e del padre a Teodoro Correr, il fondatore del noto museo veneziano.
"Comincia a dipingere vedute verso il 1750, quando il Canaletto è a Londra: prima capricci alla Marco Ricci, poi riprese dirette di Venezia, ora aperte in orizzonti larghissimi, ora centrate su un sito pittoresco, un andito, un arco, un ponte, una vecchia casa in laguna. Le anima volentieri con folla di macchiette piene di agitazione…gli piace localizzare una situazione emotiva e poi, di colpo, estenderla a tutto lo spazio del quadro. È qui che può mettere in gioco la sua tecnica agilissima; ed è questo il lato più tiepolesco della sua pittura. Da una nota di colore fa scaturire tutta una gamma di toni fitti e salienti che si concludono in una luminosità dilagante, spesso attenuata in delicatissime tonalità di madreperla e tutta percorsa da vibrazioni e da fremiti…Il Guardi non si allontanerà mai dalla sua città. Le emozioni che gli dà un gioco di luce su un vecchio muro o un riflesso del cielo nell’acqua non sono emozioni puramente visive: scendono dirette a ridestare un ricordo e con esso il sentimento del vissuto. Perciò ama i muri cadenti, pieni di rampicanti e di muffe; potrebbe dirsi un pittore di rovine moderne. Il suo, dunque, non è più il paesaggio come veduta esatta, ma il paesaggio come esperienza individuale legata, non meno che al luogo, al tempo e allo stato d’animo. È il preludio al paesaggio romantico" (Argan).
"Sono capricciose persino le sue vedute dei luoghi presi dal vero nelle quali egli, ove può, inserisce elementi estemporanei di fantasia: sicché le sue vedute stesse assumono spesso, per il variare dei colori e il gioco dell'atmosfera, per quei silenzi così misteriosi, un sapore di morbido ed estenuante mistero. Quanto infine ai paesaggi di fantasia e ai capricci, essi ci trasportano di quando in quando sino al limite di un mondo in cui la realtà si trasfigura nel sogno; cioè, per usare un termine moderno, alle soglie del surrealismo. Visioni di incantesimo affiorano talvolta dalla laguna come spettri grondanti malinconia senza fine: sono gli esempi del contrapposto serioso ai capricci nati da un animo scherzevole e felice che assumono in codesto controcanto l'aria presaga di una fragilità delle cose, irremovibile, fatale" (Morassi).
Eduard Huttinger, riprendendo queste ultime considerazioni, le esaspera attribuendo al Guardi sentimenti tardo - romantici del tutto estranei al pittore: "...in Francesco Guardi...Venezia divenne città magica e subì una trasfigurazione suggestiva: poesia contrapposta alla cronaca. Guardi riproduce ciò che è in movimento, la gioia dell'attimo fuggevole: moltitudini di persone che, come larve trasportate dall'istinto e dalla passione, si riversano vacillanti lungo i canali, nelle calli, nei campi e sulle piazze inondati della fluttuante atmosfera che li avvolge. La struttura specifica della sua immaginazione ha reso Guardi capace di svelare una dimensione della città che solo raramente è presente in Canaletto e anche in Bellotto: la Venezia discosta, fuori mano, la "Venezia minore". Qui, come pure nei Capricci (la parola deriva dalla terminologia vasariana; Cesare Ripa ne formulò la definizione nel 1593: "... si dicono capricci le idee che si manifestano lontane dal modo ordinario"), Guardi lascia trasparire un sentimento che solo in lui è documentato con tale seduzione: la decadenza di Venezia. I suoi "Capricci" visualizzano qualcosa che va al di là di un pittoresco e stupefacente "theatrum mortis" spensierato. Non alternano facoltativamente architetture fantastiche a scenografie: sono "capricci lagunari". Compendiano il carattere vetusto di Venezia, la malinconia della caducità, del marcio e del fatiscente, il senso della corrosione, il morso del tempo e delle intemperie, il lutto e la solitudine, il silenzio morto e il vuoto della laguna, fino a reificare questo complesso di sensazioni in visioni oniriche appagate, ma vibranti di pulsazioni demoniache".
"Nel corso di una vecchiaia sapiente e visionaria l'artista, attraverso il sentimento del luogo e del tempo, coglie una Venezia appartata e solitaria, dove mare e cielo tendono a unirsi come condizione spirituale: liberatosi dai fenomeni per cogliere soltanto l'essenza, la sua relazione con la città diviene più intellettiva che sensibile. Egli interpreta la luce di Venezia come luce spaziale. cosicché senza luce non esistono né forme né colori.
Tuttavia il Guardi non può essere considerato anticipatore degli impressionisti: l'impressionismo, prima di essere un mezzo di espressione, è un modo di vedere e di percepire; e il modo di vedere di Francesco si qualifica come naturale, non scientifico: l'oggetto non è reso obiettivamente, ma filtrato dallo spirito che misteriosamente indaga sulla linea dell'orizzonte, quasi come in una impercettibile fusione tra visione dell'occhio e visione sognante della fantasia, in un ritmo contemplativo assai vicino al sentire musicale manifesto nei concerti del contemporaneo Vivaldi...Ne deriva una pittura impalpabile, aerea, fatta di luce avvolgente, sorretta da una tavolozza di inafferrabile e preziosa gamma cromatica. Il paesaggio non esiste più come tema, è pretesto per la ricerca pura di ritmi luminosi, di trasparenze, di pulviscoli argentei cilestrini..." (Rossi Bortolatto). (Wikipedia)