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Guercino (after)

Strabico Giovan Francesco Barbieri lo era a tal punto da venir soprannominato il Guercino, ma se suoi occhi non abbellivano il suo aspetto gli donavano però una grande capacità di penetrare nella realtà e di renderla con eccezionale qualità sulla tela. Solo occhi speciali potevano percepire quello stupendo cielo blu notte che avvolgeva i suoi paesaggi, solo una mano superiore poteva animare le opere del suo potente chiaroscuro contrastato. Dopo aver appreso le prime nozioni di pittura a Cento presso un pittore locale, nel 1609 Guercino si trasferisce a Bologna dove può migliorarsi a contatto con le opere di Annibale, Agostino e Ludovico Carracci. La sua pittura era fondata su una ripresa del reale priva di abbellimenti (il riferimento ovvio è all’opera del Caravaggio) che già mostra la sapienza dell’artista emiliano negli effetti chiaroscurali e cromatici. Nel 1618 è a Venezia, dove grazie alla visione dei capolavori di Tiziano Vecellio e Jacopo Bassano affina la sua, già eccellente, sensibilità cromatica. La maniera giovanile dell’artista è espressa chiaramente nei capolavori giovanili “Susanna e i vecchioni” (1617), in cui il cielo plumbeo e l’oscurità notturna sono illuminati dal candore del corpo della fanciulla, lo straordinario “memento mori” con la sua profonda riflessione sulla morte di “Et in Arcadia Ego” (1618), la “Vestizione di San Guglielmo d’Aquitania” (1620) opera in cui la linea del disegno e il contorno delle figure si fondono con l’ambiente circostante grazie ai colori caldi e agli effetti luministici che sfaldano le forme. Del 1621 è l’importante viaggio a Roma (città in cui soggiorna fino al 1623). Qui Guercino riceve l’incarico di decorare il casino di Villa Ludovisi, che porta a termine affrescando l’Aurora nella volta e le allegorie del Giorno e della Notte nelle lunette laterali. L’opera è caratterizzata dagli audaci scorci in sottoinsù e dell’esuberante dinamismo dei cavalli che trascinano il carro, donando un impeto travolgente a tutto l’affresco che riceve la sua bellezza dai vibranti e mobili effetti luministici. Sempre a Roma il pittore di Cento dipinge la monumentale pala della “Sepoltura di Santa Petronilla” (1622-1623), che mostra un’attenzione alla linea del disegno e un equilibrio compositivo di ascendenza classica, esibendo le prime avvisaglie di uno stile più tradizionale e idealizzante. Il 1623 segna il ritorno nella natia Cento. È un periodo nel quale il suo fare artistico volge verso un’adesione al classicismo e all’eleganza di Guido Reni e durante il quale nasce un capolavoro quale “Apparizione di Cristo alla madre” (1629), in cui il gruppo piramidale di Cristo e la Madonna mostra una precisione del designo e un’armonia, molto ammirate dai contemporanei. Molto lodata è anche la pala d’altare con “La visione di San Bruno” (1647), opera caratterizzata dalla potenza e bellezza del colore. Nel 1649 l’esistenza del pittore è immalinconita dalla scomparsa del fratello Paolo Antonio; nel 1661 Guercino subisce un infarto che anticipa il malore a causa del quale muore nel 1666. “Guercino è un paesano, un provinciale infinitamente dotato in quella pratica artiginale che si dice pittura; ma non è un uomo qualunque. Non lo è già nell’incunabolo (1614-15 l’artista ha poco più di vent’anni) che rappresenta 'Lo sposalizio mistico di Santa Caterina'. Pittura raffinatissima, scaturita, in campagna, dai precordi del grande stile europeo. Bianchi filigranati su macchie color fragola, pesche rosate in contrappunto a quel blu di Francia di cui Guercino sarà signore per tutto il Seicento, reggendo la concorrenza degli stessi transalpini Simon Vouet e Valentin de Boulogne, e su, in alto, su una diruta torre ‘lombarda’ che piacerebbe già a Giuseppe Maria Crespi, il miscuglio larghissimo di piombo e cobalto che renderà incomparabili i cieli dell’artista maturo” (Flavio Caroli) “Un’altra sensazionale apertura si ha con l’arrivo a Roma del Guercino (1591 –1666): nel brevissimo ma intenso soggiorno (1621-1623) dipinge due opere capitali: il 'Seppellimento di santa Petronilla', per la basilica vaticana, e le allegorie del Giorno e della Notte, nel casino Ludovisi. Si forma a Bologna nell’ambito di Ludovico, la cui pittura evolve nell’ultimo decennio del secolo, in senso nettamente emotivo, neo veneto: lo stesso Guercino, nel 1618, si reca a Venezia, dove studia certamente Tiziano. Già prima di recarsi a Roma, imposta le composizioni - per esempio la 'Vestizione di san Guglielmo d’Aquitania' (1620) – su diagonali spezzate che si incrociano, a formare linee ascendenti: la volumetria delle figure è data dalle luci radenti che affiorano le superfici suscitando ombre che sono macchie di colore, segno evidente che il luminismo del Guercino non dipende da quello del Caravaggio, ma deriva dai veneti e dal Dosso ferrarese” (Giulio Carlo Argan)

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